Era l’inizio degli anni Novanta e io ero fresca di studi all’estero, laurea, master, viaggi e libertà, e avevo iniziato una carriera che mi appassionava. Ero talmente abituata a vivere in un ambiente cosmopolita, fatto di donne nord-europee o americane abituate da tempo a considerarsi alla pari dell’uomo e a coltivare l’indipendenza, che mi sembrava un modo di vivere del tutto ovvio e naturale.
Ma poi, un giorno, andai a cena da una mia carissima amica dei tempi delle superiori. Mentre lei lavava i piatti, parlandomi di suo marito mi disse: “È così bravo, mi sparecchia la tavola”. Mi venne spontaneo chiederle perché avesse detto “mi”, visto che a tavola c’era stato anche lui e mi sembrava il minimo che facesse la sua parte. La sua risposta fu: “Tu vieni da una realtà diversa”. Mi scioccò…
È vero, vengo da una realtà diversa, da una linea femminile di donne autonome e forti, anche troppo. E non potrei immaginare un altro modo di essere e di vivere. E quindi dimentico, a volte, che questo purtroppo è ancora un privilegio, e spesso un’eccezione. Lo dimentico. E quando me lo vedo davanti agli occhi, ne rimango profondamente scossa.
Mi è successo ieri, sentendomi entrare sotto la pelle il film di Paola Cortellesi, “C’è ancora domani”. E sì, mi succede anche nel sentire le storie delle tante, troppe, vittime dei femminicidi. Ma, in un certo senso, di quelle storie percepiamo più che altro il terribile esito finale, mentre delle sfumature intermedie, della tragedia che si perpetua nel quotidiano, possiamo cogliere solo qualche sprazzo.
In quel film invece, ci sono entrata dentro. E ho pianto. Un pianto antico, di un dolore conosciuto e condiviso in chissà quante altre vite. Ma anche lacrime liberatorie, di gratitudine, per la benedizione di non conoscerlo direttamente, quel dolore, in questa vita.
Come in tanti altri ambiti dell’esistenza in questo tempo e su questo pianeta, serve un cambiamento di coscienza. E, come sempre, quel cambiamento deve necessariamente partire dall’individuo. Perché finché penseremo di avere bisogno di qualcosa dall’esterno per renderci felici, finché vivremo nella coscienza della mancanza invece che della pienezza, del possesso invece che dell’amore, della debolezza invece che della meravigliosa potenza di ciò che Siamo, che non ha nulla a che vedere con la forza bruta, vivremo esperienze di sofferenza. Tutti, perché anche i carnefici sono vittime di una coscienza distorta.
C’è ancora domani. E c’è ancora oggi. C’è ancora ogni minuto in cui possiamo scegliere di lavorare su noi stessi, di superare con coraggio e determinazione i nostri blocchi e le nostre paure, di allinearci sempre più alla Verità e alla Luce. È un grande dono avere gli strumenti e la coscienza per farlo, e io ne sono infinitamente grata, per me e per tutti noi.