La morte

Ricordo ancora il primo funerale a cui partecipai da bambina. Quell’atmosfera cupa e pesante, e io che sentivo solo tanta paura e voglia di scappare. Con la mia piccola mente, pensai che non avrebbero dovuto portarmi lì, che avrebbero dovuto proteggermi da quella cosa strana e incomprensibile che una bimba come me non era in grado di capire.
Ricordo quando morì mia nonna. Ero già grande, al primo anno di università. Eppure, quando non potei evitare di vedere il suo corpo ormai rigido e privo di vita nel letto d’ospedale, ricordo lo stesso disagio, la stessa voglia di scappare via.
Poi, per tanti anni, niente più funerali. Ma, dentro, quel senso di disagio che provano in tanti al pensiero della morte, anche solo al sentirla nominare…
Finché non ho conosciuto Yogananda e il sentiero spirituale. Finché non ho cominciato a capire, e a percepire nella meditazione, che in realtà non moriamo mai. Che il corpo non è tutto ciò che siamo. E che possiamo, sì, avere attaccamento per questa vita e dispiacere nel lasciarla andare, ma che continuiamo comunque a vivere da un’altra parte.
Fast forward a una decina di anni fa: nell’arco di pochi mesi, due cari amici mi chiesero di stare accanto, insieme a loro, al loro genitore morente, fino all’ultimo respiro. Come fu naturale, in quel momento! Sentii dentro di me quasi un senso di esaltazione quando le cifre sul monitor cominciarono a scendere in picchiata, come il conto alla rovescia prima del lancio di un razzo. Il decollo finale, il volo nella libertà da un corpo sofferente, l’espansione nella luce e nella vastità. Ricordo di essere uscita dall’ospedale con un senso di profonda pace, come se avessi assistito a un miracolo altrettanto meraviglioso di quello della nascita.
E arriviamo a oggi, anzi a qualche settimana fa: il trapasso di mio suocero, il mio amato papà acquisito Rudolf. Un trapasso consapevole, una libertà conquistata con coraggio, una serenità – la sua, nell’affrontare la morte, e quella di tutta la famiglia, nell’affrontare la sua perdita – frutto di un’esemplare maturità umana e spirituale. Un grande dono.
Sì, è un dono di cui sono profondamente grata quello di poter considerare la morte come una fase della Vita, come un’avventura, come un passo a cui prepararsi con fiducia. E sì, anche con un pizzico di curiosità!

Ciao, sono Sahaja!

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