La vera gioia è una questione di maiuscole!

Uno degli insegnamenti più importanti e fondamentali dello Yoga è il concetto stesso di gioia. Anzi, di Gioia: il principio per cui la felicità che cerchiamo nelle cose esterne a noi – le persone, le circostanze, gli oggetti, gli eventi – è inevitabilmente effimera e deludente, perché tutto ciò che fa parte della creazione avviene all’interno di un meccanismo di dualità.

Fin dai tempi di Einstein, la scienza ha confermato questa antica conoscenza yogica, dimostrando che la materia non è solida come appare ma è una vibrazione di energia. E una vibrazione, per sua stessa definizione, è un movimento tra due poli opposti: per l’appunto, un movimento duale.

Un modo molto chiaro di spiegare la nostra deludente ricerca della gioia nel mondo della materia è l’immagine del pendolo: più cerchiamo di spingerlo in una direzione e più, inevitabilmente, oscillerà nella direzione opposta.

Il che significa che più spingeremo la nostra vita nella ricerca di una gioia esteriore – quella che proviamo dal possedere un nuovo oggetto, dall’iniziare una nuova relazione, dal trovare un lavoro che ci appaga, e così via – più saremo “condannati” a sperimentare anche l’altro lato della medaglia: l’infelicità che viene quando quell’oggetto si sciuperà, quando quel rapporto conoscerà un momento di noia o di crisi, quando nel lavoro ci saranno degli intoppi… o, semplicemente, quando l’onda di iniziale entusiasmo per tutte queste cose, un po’ alla volta, si esaurirà!

Che cosa consigliano, quindi, gli yogi? Di cercare la vera Gioia, quella con la G maiuscola, che esiste oltre la dualità. Uno stato immutabile ed eterno che è manifestazione stessa della Coscienza Divina. Uno stato che non conosce opposti, né sfumature o “sbavature” soggette al mutare degli eventi. Uno stato che è possibile sperimentare nelle profondità del nostro essere, in quella dimensione incondizionata, oltre la dualità, in cui dimora la nostra anima, e che la meditazione ci aiuta a raggiungere.

Chiunque abbia gustato anche solo un piccolo assaggio di quella Gioia non può fare a meno di percepire l’enorme – oserei dire “infinita”! – differenza con le piccole gioie della vita quotidiana. E non può più fare a meno di cercarla.

Questo, dunque, significa che dovremmo rinunciare alla gioia con la g minuscola?

È un dilemma che attanaglia da sempre i sinceri ricercatori spirituali. E che, purtroppo, può diventare una trappola, perché in realtà – come affermava il santo curato di Ars e come ci ricordava Swami Kriyananda – «Un santo triste è un triste santo».

Anche Sri Yukteswar, il guru di Yogananda, aveva un’opinione molto chiara in proposito. Nell’Autobiografia di uno yogi (il capolavoro spirituale di Yogananda, che ti consiglio assolutamente di leggere se ancora non lo hai fatto), leggiamo: «Benché fosse spesso serio, il Maestro non era mai tetro o malinconico. “Per cercare il Signore non occorre deformare il proprio volto” faceva notare. “Ricordate che trovare Dio sarà il funerale di tutte le pene”».

Swami Kriyananda raccontava spesso un’altra storia interessante: in India aveva conosciuto uno yogi molto austero, che riteneva che un sincero ricercatore spirituale non dovesse mai godere neppure di un tramonto, perché qualsiasi cosa non fosse Dio stesso era da ritenersi un’illusione. Swami Kriyananda aveva commentato quanto fosse diverso l’insegnamento di Yogananda su questo argomento!

Immaginiamo per un attimo che qualcuno ci abbia fatto un regalo, con amore e generosità. E che noi, invece di gioirne e di apprezzarlo, lo disdegnassimo con espressione tetra, mostrando il nostro interesse solo per il donatore e non per il suo dono. Non ci sarebbe qualcosa di strano in questo atteggiamento?

Lo stesso è vero per i doni che l’Universo ci elargisce continuamente: perché mai non dovremmo gioire della vita, in tutte le sue forme, come un dono divino? Davvero i tramonti – e tutte le altre meraviglie del creato – ci sarebbero stati dati solo per imparare a ignorarli?

Non proprio. Ma faremmo comunque bene a seguire gli avvertimenti degli yogi, perché c’è una trappola in tutto questo: il rischio di concentrarci solo sui doni, senza cercare il Donatore. Di accontentarci dei piaceri dei sensi e delle piccole gioie impermanenti dell’esistenza duale, senza mai fare lo sforzo di conoscere l’unica Gioia permanente e infinita nascosta nelle profondità del nostro essere.

Per usare un esempio di Yogananda: accontentarci di frammenti di vetro che luccicano nel sole, senza cercare i diamanti nascosti nel terreno sottostante!

Swami Kriyananda era un meraviglioso esempio di questo equilibrio: trovava ogni giorno il tempo per godere delle gioie della vita – un bel libro, un tè con gli amici, una passeggiata in città o nella natura – ma mentre lo faceva, la sua coscienza era immersa nella Beatitudine della sua anima e nella gratitudine per il Donatore di tutti i doni.

Per cominciare (o continuare) ad allenarci, possiamo praticare queste due affermazione (tratta dal libro Affermazioni per l’autoguarigione, Ananda Edizioni):

Sono equilibrato e allegro in ogni circostanza. So che la gioia non è fuori, ma dentro di me.

Rendo grazie al donatore di ogni dono e all’unico Donatore di tutto ciò che ricevo. La mia gratitudine si eleva con l’incenso della devozione fino al trono dell’Onnipresenza.

Se desideri qualche indicazione in più per coltivare la tua gioia (e Gioia) nel quotidiano, puoi trovarla in questo altro mio blog, intitolato “Stai seguendo la tua g(G)ioia?”.

Buona pratica!

Foto di Nathan Dumlao su Unsplash

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