Lezioni dall’India sul tempo

Paramhansa Yogananda ha portato in Occidente l’essenza della tradizione spirituale indiana: il cosiddetto Sanaathan Dharma, o “religione eterna”. Ha insegnato la meditazione e il Kriya Yoga come strumenti per accedere alle verità eterne dentro di noi, ma non ha portato in Occidente i rituali e le cerimonie dell’Induismo. Lui stesso diceva di non essere venuto a portare “una nuova religione”, ma una via di illuminazione interiore.

Il suo discepolo Swami Kriyananda ha espresso magnificamente questo concetto spiegando che in ogni religione c’è una “via del credo” (con rituali e dogmi spesso diversissimi da quelli delle altre religioni) e una “via del risveglio” (che si rivela uguale per tutti i mistici che la seguono, a prescindere dalla loro religione di appartenenza).

Quando sono in Occidente, le cerimonie indiane sono molto lontane dalla mia quotidianità, e le mie pratiche spirituali sono solo quelle del sentiero del Kriya Yoga che seguo ormai da trent’anni. Ma, non appena arrivo in India, qualcosa di antico si risveglia in me e sento subito il richiamo degli antichi mantra e di tutti quei complicati rituali. E quindi… le giornate si riempiono ulteriormente, specialmente nei periodi che trascorro al Vanamali Ashram con Vanamali Devi, la mia “mamma indiana”, una grande devota di Krishna con cui da vent’anni ho un bellissimo rapporto di amore e gratitudine.

Mataji (un titolo di rispetto e venerazione che viene usato in India per le donne, formato dalle parole Ma, madre, e ji, un suffisso di rispetto) è una meravigliosa sintesi di antica spiritualità indiana e moderna comprensione della vita occidentale. Viaggia continuamente in tutto il mondo, e il suo insegnamento è permeato di pragmatismo e di conoscenza scientifica (ha scritto anche un libro sulle connessioni tra lo yoga e la fisica quantistica). Al tempo stesso, nel suo ashram si svolgono ogni giorno tutte le tradizionali cerimonie di adorazione, con lunghissime recitazioni di mantra che occupano ore e ore della giornata.

E questa, per me, è sempre una meravigliosa lezione spirituale, che penso interessi tutti noi: come riuscire a espandere il tempo per farci stare tutto quello che ci interessa fare? Vorrei condividere con voi qualche spunto, ispirandomi per l’appunto a Mataji, alla sua vita e ai suoi insegnamenti.  

1. AVERE BEN CHIARI I PROPRI OBIETTIVI è un importante punto di partenza. E questo non solo “con la testa”, ma anche e soprattutto con il cuore! Quando siamo innamorati, ad esempio, non dobbiamo sforzarci di ricordare che vogliamo dedicare il nostro tempo alla persona amata, vero?! Al contrario, sembra che tutto il nostro essere non desideri altro e cerchi tutti i modi per espandere il tempo in modo da riuscirci.

Per Mataji, ad esempio, è chiarissimo già da oltre cinquant’anni che tutta la sua vita è dedicata a Krishna e a servirLo negli altri, e tutte le sue giornate ruotano attorno a questo. Lo stesso era vero anche per Swami Kriyananda: non c’era mai alcun dubbio che trovare Dio fosse l’unico vero obiettivo della sua vita!

Forse questo non è (o non è ancora!) l’obiettivo di tutti noi, ma è comunque importante fare chiarezza dentro di noi e chiederci: «Per che cosa sto vivendo? Che cosa voglio veramente nella mia vita?».

Sento già alcuni di voi esclamare: «Ma è difficile capirlo!!!». Ho sentito bene?

In questi giorni, Vanamali Devi ha ricordato in alcuni suoi discorsi i quattro scopi della vita secondo il Sanaathan Dharma, e possiamo cominciare da questi:

kama, il piacere (non solo sessuale, ma inteso come godimento della vita e della bellezza)

artha, il guadagno (il che include il successo, la carriera ecc)

dharma, la giusta azione (vale a dire… seguire i desideri dell’anima!)

moksha, la liberazione

Consapevolmente o inconsapevolmente, ognuno di noi usa il suo tempo per perseguire uno o più di questi scopi. Se, tuttavia, facciamo chiarezza su quale sia il nostro obiettivo predominante in questo momento, ecco che la nostra vita diventerà più focalizzata… e lo sarà anche il nostro uso del tempo!

2. SVILUPPARE LA PASSIONE: questo è un tema che mi interessa particolarmente, perché ho visto spesso nel corso degli anni quanto sia importante! Tornando all’esempio dell’innamoramento: quando un nostro obiettivo ci appassiona, abbiamo tutto il carburante necessario per arrivare alla meta… e per piegare il tempo ai nostri desideri. La passione attiva automaticamente la volontà, che secondo Yogananda è «desiderio più energia, rivolti verso la meta».

Quindi: quando il “tempo elastico” non si estende fino a permetterci di fare le cose che ci piacciono e che ci riproponiamo di fare… chiediamoci innanzitutto se le desideriamo abbastanza!

3. SVILUPPARE LA DISCIPLINA: in questo, Mataji è un esempio incredibile! Ogni sua giornata è come un orologio svizzero, proprio perché altrimenti non riuscirebbe a farci stare dentro tutto quello che la sua anima desidera! Si sveglia sempre alla stessa ora, molto prima dell’alba, e va sempre a dormire alla stessa ora, con grande forza di volontà. Ogni giornata si svolge in base a una routine con orari ferrei, e lo stesso vale per le attività della settimana: ci sono giorni specifici per il bucato, altri per la cura del corpo, altri in cui preparare pietanze particolari legate a diverse divinità, ecc ecc.

Per qualcuno di noi (me compresa!) questa disciplina potrebbe suscitare delle resistenze interne, perché troppo “militaresca”. In realtà, in Mataji tutto questo diventa un atto d’amore: per Dio, al quale sono dedicate tutte le sue attività, e per se stessa, perché in questo modo la sua vita scorre esattamente come lei la desidera.

Un tema, questo, che trovo sempre molto interessante: quanto la nostra cosiddetta libertà di fare quello che vogliamo si rivela alla fine una vera libertà, e quanto invece, se usata male, ci distoglie dai veri scopi della nostra vita e diventa quindi schiavitù? Sicuramente un concetto su cui vale la pena di riflettere!

4. FLUIRE!!!

È davvero molto interessante come Mataji, pur essendo così disciplinata e regolare nella sua routine quotidiana, al tempo stesso sia sempre pronta ad accogliere gli imprevisti e a fluire con le richieste e la diversità delle persone che frequentano il suo ashram. Ogni sera, ad esempio, dopo la meditazione c’è un kirtan e lei chiede a ognuno dei presenti di cantare qualcosa. Ci sono persone completamente stonate oppure che storpiano in modo quasi sacrilego gli antichi mantra o canti indiani a cui lei tiene tanto, eppure… mai una parola di rimprovero o di critica! Lei accoglie tutti con amorevolezza e con sincera curiosità e divertimento per l’infinita varietà delle espressioni umane. E, se è già ora di concludere il kirtan ma c’è ancora qualcuno che non ha avuto modo di cantare, lei magicamente trova spazio per tutti, come se il tempo si dilatasse.

E questa mi sembra la lezione forse più preziosa di tutte: quando allentiamo la presa del nostro ego, dei nostri desideri e dei nostri progetti, mettendoci al servizio degli altri e a disposizione della volontà di Dio, anche attraverso gli altri, usciamo anche dalla morsa del tempo, perché ci avviciniamo un po’ di più a quella dimensione dello Spirito, dentro e fuori di noi, in cui il tempo non esiste.

Ciao, sono Sahaja!

Forse abbiamo in comune molte cose, o forse una soltanto… Vuoi scoprirla?

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